Città di Edimburgo, ormai è quasi mezzanotte. In un tipico pub della Old Town, la Royal Mile Tavern, un clima festoso è nell’aria, insieme a musica live molto più irish che scozzese. Chi suona il violino e chi la fisarmonica, chi canta, ma tutti seduti al tavolo, davanti a una gustosa Guinness.
Le poltroncine rosse di velluto, gli arredi in legno scuro, i grandi specchi pubblicitari e i lampadari retrò conferiscono al luogo un’atmosfera fuori dal tempo; sembra quasi di vedere la carrozza reale spuntare dalla strada, sotto la pesante ombra al chiar di luna della gotica St Giles’ Cathedral, che domina la Royal Mile, la via che dal castello in cima alla collina porta dritto fino a Holyrood House.
La Scozia non è mai stata così vicina alla sua storia come in questo periodo. Si tiene domani infatti il referendum che dirà se il paese delle Highlands diventerà o meno indipendente dal Regno Unito. Al momento nuovi sondaggi danno il “no” in vantaggio di quasi quattro punti percentuali.
“I’m an economist…” Così inizia a esprimere la sua preferenza per il “no” il gentleman scozzese interrogato sul voto referendario da un’italiana, da chi in fondo ne sa molto poco, di questo paese che da sempre fa della libertà un motivo per cui combattere. Lui spiega, mano sul cuore, che se vince il sì sarebbe comunque felice, “but…”. In quel “ma” è racchiuso tutto. Perché se è vero che da secoli la Scozia combatte per una vera indipendenza, avendo versato moltissimo sangue dalle battaglie dell’eroe William Wallace in poi, è anche vero che sorgerebbero molti problemi pratici se vincesse il “sì”, e non è detto che siano tutti risolvibili.
La campagna per il “no”, Better United, li prospetta come qualcosa di vicino alla catastrofe. Economica, s’intende. La Scozia potrà ancora mantenere la sterlina? Riceverà ancora fondi dall’Unione Europea, quegli stessi fondi che, assieme a quelli del Regno Unito, hanno consentito negli ultimi anni di modernizzare il paese? Sono quesiti che al momento non hanno risposta, se non quella dissuasiva dei leader dei principali partiti inglesi, che fanno fronte comune e si impegnano a concedere maggiori poteri alla Scozia se venerdì mattina sarà ancora parte del Regno Unito.
Il premier scozzese, il leader indipendentista Alex Salmond, replica: “E’ una disperata offerta last minute e sul nulla”. Insomma, avanti con la battaglia, anche perché le difficoltà potrebbero essere uguali se non maggiori anche per Londra. Infatti con il “sì”, Edimburgo si terrebbe gli introiti derivanti dal petrolio del mare del Nord. Un’enorme fonte di reddito, certo, ma fino a che non si esaurirà nel giro di vent’anni. Londra inoltre mantiene in Scozia le basi dei sottomarini Trident, il suo deterrente nucleare. Dovrebbe quindi spostare le basi dei sommergibili o pagare alla Scozia l’affitto delle stesse. Insomma, niente di così semplice. Addirittura la regina Elisabetta ha rotto il silenzio referendario invitando gli scozzesi a “riflettere attentamente” sulla croce che andranno a porre con la matita, monito che ha quasi l’aria di una velata minaccia.
Per più della metà degli inglesi, se la Scozia rimanesse con il Regno Unito, si dovrebbe ridurre l’autonomia fiscale e la spesa pubblica di cui il paese tra l’altro gode già oggi. È rimasto dunque qualcosa dell’attitudine alla vendetta degli inglesi, che nel 1305 uccisero e squartarono Wallace e appesero le sue membra in quattro diverse città.
Se il “no” è stato sussurrato in maniera discreta in un vecchio pub da un gentleman scozzese, la mattina seguente vediamo il “sì” per le strade di Edimburgo in tutta la sua prorompenza e ottimistica fiducia nel successo: applausi, cortei, e poi tutti a festeggiare all’ora di pranzo con l’aria di chi ha la vittoria già in tasca. Tra una pinta di Tennent’s lager e un bicchiere di whisky, quelle più entusiaste sembrano essere le donne: chiassose e festose al tavolo, con la bandiera inglese stampata sulla t-shirt messa per la campagna referendaria. Gli uomini appoggiati al bancone senza dar tregua un momento ai due baristi che spinano una birra dopo l’altra.
Finito il pranzo, ce ne usciamo dal pub. L’ultimo di Edimburgo nel quale entriamo. La prossima volta che si volerà in Scozia – perché è difficile pensare di non fare mai più ritorno in un paese così meraviglioso – l’unica cosa certa è che non la troveremo mai più come prima. Forse sarà un paese un po’ più ricco e un po’ più libero, o un po’ più povero e disilluso. Ma diverso. Quello che non cambierà sarà l’anima scozzese: quella di fieri uomini di mare e di terra che hanno deciso di costruirsi il proprio destino da sé… e dopo secoli e secoli lo stanno ancora facendo.