Di muschio, di fate e altre storie

Ognuno ha più di un profumo irrefrenabile traghettatore di ricordi lontani. Il mio è il muschio. Il muschio è quel vegetale verde che prolifica nel sottobosco, dove non batte il sole, e sulle rocce impervie. Il muschio scatena percezioni tattili e olfattive, ma più di tutto fa rivivere l’infanzia. Quell’età magica in cui durante il periodo prenatalizio partiva la caccia al muschio, per costruire il piccolo grande mondo del presepe, un gioco di bambole e animali che per i bambini ha poco a che fare con la religione. Il tanto agognato muschio – quello fresco, non quello essiccato e inodore in vendita nei negozi – era dunque un perfetto prato in miniatura da far brucare alle piccole pecore, era un perfetto nascondiglio per i fili delle lucine che suggerivano un’artificiosità assolutamente da tagliar fuori da quella che era la più autentica messa un scena della vita vera, qualcosa di molto più serio di una banale casa di Barbie.

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Il muschio dei boschi scozzesi

L’arrivo del muschio fresco, procacciato dal babbo a mo’ di rara selvaggina, era quindi un evento gioioso che portava con sé altri mondi e racconti, non importava se fossero veri: l’arrampicata pericolosa su una roccia, l’addentrarsi in una grotta abitata da volpi, lo scorrere di un ruscello, il terreno fangoso e scivoloso. Tutto pur di avere un po di vero muschio. Nei miei sogni di bambina non ci poteva essere odore più bello di quello del muschio, odore di bosco, odore di acqua, odore di terra millenaria, odore di magia selvatica. Niente nella natura vegetale poteva essere paragonato alla soffice e sensuale morbidezza di questa piccola pianta vegetale, di questo velluto spesso che vestiva il bosco a festa nei mesi più umidi dell’inverno. Correre e rotolarsi in un prato tutto fatto di muschio, solleticarsi in quel cuscino naturale, di cui la natura è sempre troppo avara nel concederlo agli umani.

Molti anni più tardi, quando il presepe ha cessato di essere quel rito infantile che tanto amavo, ho però ritrovato il mio muschio in uno dei luoghi che da anni sognavo di visitare: la Scozia.

Qui, il muschio era onnipresente e abbondante, qui il verde era solo fatto di muschio, e le rocce, e tutto quello che di più magnifico c’era, era morbido e verdissimo come nelle più belle fiabe fantasy, come in tutte quelle leggende celtiche che amavo.

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esemplari di Amanita Muscaria

Nelle valli, o meglio nei ‘glen’ come si chiamano in gaelico, a ridosso delle montagne e lungo i purissimi corsi d’acqua, potevo finalmente camminare di un tappeto muschioso, la coperta di Madre Terra, tanto morbida da affondarci non di rado i piedi quasi come a voler immedesimarsi in un arbusto, a sentir cosa si prova ad essere albero, così libero e così stabile. In quei luoghi, fu semplice e spontaneo capire l’origine delle leggende nate lì: ad esempio la storia delle fate-fanciulle, le tessitrici della trama complessa del tappeto muschioso, abitatrici del mondo invisibile che non vediamo ma di cui si sente forte la mancanza.

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E lì, in mezzo al profumato sottobosco, in mezzo ai funghi rossi e giganti, in mezzo agli arbusti centenari, aveva senso credere nell’esistenza di quel mondo, e amarlo e rispettarlo, quel mondo che sembra magico solo perché non riusciamo più vederlo, quel mondo che ha nome natura e che ci riporta a una viva essenzialità, fatta di istinti, di passioni, che nel quotidiano cerchiamo di assopire e narcotizzare, ma che si possono destare facilmente alla presenza di un profumo, profumo di bosco, profumo che ci riporta alle origini selvagge di incondizionata libertà, profumo di vita, che sempre prospera e si rinnova, ogni volta che accarezziamo la terra.

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