È lì
eccola
la crosta di sangue
a riparare la tua ferita
che la terra e l’aria
– sciagurate –
volevano infettare.
A me invece
sembrava solo
uno di quei tiepidi mattini
vita vissuta dal profondo
delle contorte viscere
spurgo animico
di ciò che non volevi.
Se poi la prendevi
e con un’unghia la strappavi
fin dove la carne
lo consentiva
il sangue ti scappava via lesto
come le iene scacciate dai
leoni sui corpi putrescenti.
È la tua ferita e ti piace
la ammiri e la osservi
e la apri
e la apri ancora
e la bagni
e il grumo di liquido ormai più denso è lì
lavorano le piastrine instancabili
e cuciono e si scuriscono
e piallano e chiudono
E poi…
eccola
la tua orgogliosa
bianca
cicatrice.